Shiatsu News 60 - giugno-luglio 2018

45 n. 60 - Giugno 2018 Questa appena letta non è in un libro di poesie ma è stata tratta da “Il libro dell’in- quietudine” che leggo e rileggo con len- tezza, una sorta di diario con riflessioni sensate e dirette, fuori del comune. E non potrebbe essere altrimenti trattandosi di Pessoa. Ho voluto esaminare questo pa- ragrafo perché s’interroga su come es- sere nel presente. La poesia del koan si chiede se quanto vuole fare Pessoa sia di cambiare nome e vestito ogni giorno, così la casa, il lavoro, l’amante, lo sport, gli amici e tutto ciò che si vuol cambiare. Perché sarebbe davvero faticoso can- cellare tutto dalla lavagna da un giorno all’altro, per essere nuovo ad ogni alba e ritornare alla verginità dell’emozione. Sostiene Pessoa che solo questo vale la pena di essere e di avere. E come si fa. Certo, un poeta non è un maestro di zen o di qualunque altra disciplina che sap- pia indicare il modo in cui ottenere quan- to si vuole. È proprio la differenza che io trovai fra quanto indicava Khrisnamurti negli anni cinquanta/sessanta e quanto invece in- segnano i maestri zen che mi fece deci- dere di andare in Giappone. La differenza è che i maestri di zen, in linea con l’inse- gnamento del Buddha e dei patriarchi, indicano come ottenere quanto afferma- no a differenza di Khrisnamurti. Se uno gli chiedeva come ottenere la libertà di cui parlava, rispondeva che bisognava riuscirci da soli. Al massimo suggeriva di sedersi sotto un albero e meditare. Tutto può succedere; uno sta seduto e magari scende un lampo dal cielo, ma non è così che avviene, per qualunque disciplina. C’è un’ascesi che mette in grado il disce- polo di rompere da sé il guscio dell’uovo nel quale è costretto. Capisce da sé in quale modo muoversi per uscire alla luce. Altrimenti si rimane sempre lì, qualunque ascesi richiede che ci sia qualcuno nato prima che indica la strada e poi sta al di- scepolo muovere le gambe e camminare per arrivare sulla cima. È ovvio che l’illuminazione uno la fa da sé, mica il maestro la travasa al discepolo come se fosse una bottiglia da riempire. Questo avviene nelle scuole in cui si plagiano i discepoli in- vece che farli liberare, perché è quasi impossibile che uno ascolti e si illumini alle parole del maestro. Così avviene per quanto scrive Pessoa. Sotto certi aspetti ha ragione, è indubbio che si debba essere presenti a ogni istante, cioè esser nuovi in ogni momento. Infatti la poesia del koan dice solo che è sufficiente essere, quello vero, non essere quello col vestito nuovo, bensì quello che è nel vestito, che è nel lavoro che si sta facendo, che è nella casa che si sta abitando. Così per tutto il resto. Se un discepolo è pre- sente a quanto si fa durante la giornata non ha bisogno di cancellare tutto quello che s’è scritto sulla lavagna da un giorno all’altro come sostiene Pessoa. Quanto afferma Pessoa suscita l’immagine di chi sta facendo una doccia in continuazione per togliersi lo sporco accumulato. Secondo Pessoa la nostra esistenza non dovrebbe essere altro che cancellare ciò che si è appena terminato di scrive- re. Questo, sostiene Pessoa, sarebbe essere nuovi ad ogni alba in una verginità completa delle emozioni. Questo e solo questo vale la pena di avere. Certo, nella nostra scuo- la essere nuovo ad ogni alba in una verginità perpetua, è scritto nell’ultima riga della poesia: è sufficiente essere, quello vero. Basta esserci, nell’istante, ecco la verginità. Essere nella verginità perpetua è proprio quanto s’insegna in questa scuola. Intanto ci sono le indicazioni del Buddha per avere chiari quali sono gli attaccamenti che impedisco- no di essere liberi, almeno in senso teoretico. Poi per mez- zo della posizione si acquisisce tranquillità e compostezza del corpo e della mente e per mezzo del respiro si entra in una condizione in cui si è presenti. Si è presenti al respiro e di conseguenza si è presenti a quel noi stessi, quello vero che ci fa essere nel luogo in cui siamo, e nell’esserci essere nuovi a ogni istante. Esserci con qualunque abito s’indossi, in qualunque casa si abiti e qualunque lavoro o arte si fac- cia. Si riesce ad essere nuovi senza bisogno di cancellare le lavagne come vorrebbe che si facesse Pessoa: ogni sera si cancella la lavagna e la mattina la si ritrova pulita per es- sere di nuovo scritta. Penso che i poeti abbiano delle reali intuizioni e possano farti venire voglia di andare a vedere certe cose. Come un bambino che vede con occhi diversi da chi ormai è assuefatto a ciò che gli sta davanti. Ha l’intu- izione e la voglia di andare oltre, che una persona normale non è abituato ad avere. E ascoltando il poeta può venire la voglia di andare a vedere da sé. Poi, quando ci si rende conto che il poeta lo sa dire ma non lo sa fare, bisognerà rivolgersi a chi quei problemi li ha già risolti. Così la mia decisione del Giappone di fronte all’incapacità di Khrisnamurti di insegnare. Insomma, pure se con questi commenti si porta alla luce la contraddizione dei poeti che forse sanno solo parlare ma non fare quanto scrivono, non significa che non sia bello leggerli e gustare quanto hanno scritto.

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